tar stop alle nomine da dpo

Stop alle nomine da D.P.O.

Stop alla nomine indiscriminate da Dpo e maggiore cura nella stesura dei contratti con chi deve effettuare il servizio.

Sono questi gli effetti desumibili dalla sentenza del Tar Puglia, sezione di Lecce, n.1468/2019 pubblicata il 13 settembre 2019.

La difesa del Tar

Il Tar Puglia è intervenuto per evidenziare che il Dpo è una funzione di alta specializzazione, non si improvvisa dall’oggi al domani, e non può essere solo un’occasione per diversificare il business.

Professione che non può essere esercitata senza garanzia di qualità della prestazione, agguantata magari con spregiudicate politiche di dumping, soprattutto nelle procedure di evidenza pubblica bandite dalle varie pubbliche amministrazioni.

Questa figura, centrale nell’impianto del Gdpr, è, purtroppo, decisamente a rischio nella quotidianità.

La sentenza del Tar

Tornando al Tar Puglia, la sentenza annulla l’aggiudicazione di un incarico biennale di Dpo a una società a responsabilità limitata (srl), che ha indicato, per lo svolgimento dell’attività, un consulente esterno.

La motivazione del provvedimento è questa: la srl ha designato all’ufficio di Dpo una persona esterna alla società, senza precisare e provare che quest’ultima “appartiene” alla società.

Manca, secondo la pronuncia, la prova dell’appartenenza.

Si premette che, come precisato dalle Linee Guida redatte in materia di Dpo dall’allora operativo “Gruppo di Lavoro Articolo 29” (WP243, adottate il 13 dicembre 2016 ed emendate in data 5 aprile 2017), la funzione di RPD (Responsabile del trattamento dei dati) può essere esercitata anche in base a un contratto di servizi stipulato con una persona giuridica esterna all’organismo o all’azienda titolare/responsabile del trattamento.

In tale caso, le medesime linee guida raccomandano che ci sia un solo soggetto a fungere da contatto principale e “incaricato” per ciascun cliente, risultando utile, in via generale, inserire relative specifiche disposizioni nel contratto di servizi.

Il Tar si è occupato del settore pubblico, ma ha espresso un principio che ha potenzialità espansiva anche nel settore privato.

Secondo il Tar, dunque, la situazione su-citata viola il Regolamento Ue 2016/679.

L’analisi del Tar

Nel dettaglio, il Tar Puglia, analizza le Linee Guida, nella parte in cui danno atto del fatto che, qualora la funzione di RPD sia svolta da una persona giuridica, “è indispensabile che ciascun soggetto appartenente alla persona giuridica e operante come RPD soddisfi tutti i requisiti applicabili come fissati nella sezione 4 del RGPD”.

Questo estratto richiede inequivocabilmente il requisito dell’“appartenenza”, che va provato da documenti contrattuali significativo e coerenti.

Ciò è senz’altro condivisibile, poiché non è altro che la citazione testuale delle Linee Guida.

La dissimulazione del Tar

Poi, però, il Tar “adombra” che il requisito dell’ appartenenza sia soddisfatto solo da un rapporto di lavoro subordinato.

I magistrati si sono trovati di fronte a una scrittura di “incarico professionale”, sottoscritta dalla società, aggiudicataria del servizio, e dal professionista esterno.

I giudici, a questo punto, rimarcano il fatto che un incarico professionale “pone seri dubbi” sull’avvenuto rispetto del requisito dell’appartenenza.

L’incarico professionale (al contrario del rapporto di lavoro subordinato) lascia, dice il Tar, “autonomia nell’esplicazione dell’incarico” e qui sta il dubbio di compatibilità con il requisito della “appartenenza”.

Va evidenziato, comunque, che il Tar non chiarisce se ritiene che il rapporto tra società nominata Dpo e persona fisica designata per lo svolgimento delle funzioni debba necessariamente essere di lavoro dipendente.

La conclusione (dubitativa) del Tar è che un incarico libero professionale “pone seri dubbi” di compatibilità con il Gdpr.

Per quanto sia da evitare qualsiasi espressione che crei e amplifichi dubbi (dalle sentenze ci si attendono certezze), la pronuncia fornisce molti spunti di commento.

Le linee Guida dell’ex WP29 secondo i Magistrati

Secondo i magistrati amministrativi si tratta di “atti di interpretazione autentica”.

Stando alle definizioni generali, questo risultato non è condivisibile, in quanto l’interpretazione autentica di un testo normativo è formulata dallo stesso organo che ha redatto il testo.

Può essere, però, che la formulazione, che si legge nella sentenza, debba essere colta solo nel suo significato traslato e voglia dare atto solo dell’autorevolezza dell’interpretazione, anziché del suo valore precettivo retroattivo.

Al di là di questo, il nocciolo del problema è se, nel caso in cui la funzione di Dpo sia assunta da un ente collettivo, quest’ultimo debba incaricare allo svolgimento delle funzioni solo ed esclusivamente un proprio dipendente, vincolato da un contratto di lavoro subordinato.

Peraltro è certamente sostenibile, invece, che il vincolo giuridico tra la persona fisica “incaricata” e la società/organizzazione nominata Dpo possa essere anche un contratto d’opera intellettuale e, quindi, un rapporto di libera professione.

Tre punti fondamentali

1) Il concetto di “appartenenza” (testualmente usato nelle Linee Guida del WP29) è diverso dal concetto di “dipendenza” usato dall’articolo 2094 del codice civile (“prestatore di lavoro subordinato”).

Il primo fa riferimento a un coinvolgimento, ma non necessariamente a una messa a disposizione del proprio tempo e alla soggezione a un potere direttivo e di ordine, tipico del lavoro subordinato.

Tra l’alto, sarebbe ben strano che la persona fisica, che svolge la funzione di Dpo, debba essere indipendente rispetto al titolare del trattamento, ma debba obbedire agli ordini dell’ente, cui la funzione è deferita.

2) Le Linee Guida, nello stralcio citato dal Tar, non mirano a risolvere i problemi della configurazione dei rapporti contrattuali tra società Dpo e persona incaricata dalla società.

Il Tar dichiara apertamente che le proprie considerazioni sono di natura deduttiva e collegabili “implicitamente” alla formulazione letterale.

3) L’obiettivo di vincolare alle proprie responsabilità la persona fisica incaricata (che è l’esigenza sostanziale, del tutto condivisibile posta dal Tar alla base dei propri ragionamenti) può essere raggiunto con idonee clausole contrattuali interne, in cui si indichi il dettaglio degli obblighi e degli impegni assunti.

In conclusione

Tutto ciò non toglie che, al di là delle possibili differenze di opinioni giuridiche, è inequivocabile che la garanzia della qualità del servizio, reso da chi effettua la funzione di Dpo, possa essere data solo da un rigoroso percorso di formazione e da una seria e affidabile attestazione delle competenze.

Fonte: Avv. Antonio Ciccia Messina

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