Cos’è “FACE-APP”?

TI SEI MAI IMMAGINATO TRA QUALCHE ANNO, A SVELARLO CI PENSA “FACEAPP”.

Faceapp è un’app che si scarica gratis dall’Apple store e dal Playstore. Una volta installata sarà in grado, con una serie di filtri, di modificare il nostro viso e svelarci come invecchieremo.

Cos’è Face-App? Faceapp è un’app che si scarica gratis dall’Apple store e dal Playstore. Una volta installata sarà in grado, con una serie di filtri, di modificare il nostro viso e svelarci come invecchieremo.  

L’ideatore si chiama Yaroslav Goncharov, nato, cresciuto e laureato a San Pietroburgo. Oltre ottanta milioni di utenti già usano l’app che è stata spesso in testa alle classifiche, anche in Europa, per numero di download.

Ma mentre impazza la Faceapp-mania non ci si può non soffermare un istante a riflettere sul fatto che usare l’app significa – o potrebbe significare – rinunciare, alla propria privacy o, almeno, al controllo di alcuni dei dati personali più preziosi che abbiamo, ovvero quelli contenuti nell’immagine del nostro volto.

Il presupposto minimo di funzionamento dell’app è, infatti, che si carichi una fotografia del volto da modificare sui server della società e la si lasci modificare attraverso il filtro che si è scelto di utilizzare. Difficile, tuttavia dire con certezza chi, un istante dopo, potrà fare cosa con quella foto e con i dati che essa contiene.

Perimetro e finalità poco chiare

Le finalità per le quali la Wireless Lab dichiara di utilizzare i nostri dati non sono poche e, soprattutto, sono individuate in maniera decisamente generica.

Non è assolutamente definito il perimetro e le finalità per le quali FaceApp, sempre senza chiederci nessun consenso, si riserva il diritto di condividere con altre società del suo Gruppo presenti e future e con una serie di soggetti genericamente definiti come “affiliati” i nostri dati. In poche parole una volta caricata la nostra foto sui server di FaceApp, potremmo salutarla per sempre rinunciando, più o meno, a ogni forma di controllo sul nostro volto e sul carico di preziosissimi dati personali anche biometrici che essa contiene.

Questo sospetto sembra confermato dai termini d’uso del servizio che, in maniera decisamente più chiara, stabiliscono che: “[Utilizzando l’app] Concedi a FaceApp una licenza perpetua, irrevocabile, non esclusiva, esente da diritti, a livello mondiale, trasferibile per utilizzare, riprodurre, modificare, adattare, pubblicare, tradurre, creare opere derivate da, distribuire, eseguire pubblicamente e mostrare sul contenuto dell’utente [ndr la nostra immagine] e qualsiasi nome, nome utente o immagine forniti in relazione al contenuto dell’utente in tutti i formati e canali multimediali ora conosciuti o successivamente sviluppati, senza alcun compenso. Quando pubblichi o condividi in altro modo il Contenuto dell’utente su o attraverso i nostri Servizi, accetti che il tuo Contenuto utente e qualsiasi informazione associata (come nome utente, posizione o foto del profilo) saranno visibili al pubblico.”.

Se l’informativa è poco chiara, i termini d’uso del servizio risolvono parecchi dubbi.

La foto del nostro volto diventa in sostanza di FaceApp che può farne quello che vuole in maniera perpetua, irrevocabile, mondiale, cedibile e, naturalmente gratuita

Ma non basta. Perché, naturalmente, benché i termini d’uso del servizio lo vietino, centinaia di migliaia di utenti utilizzano FaceApp non solo per farsi fare un ritratto di come saranno domani ma per giocare con l’immagine di amici, parenti e personaggi più o meno noti con la conseguenza che sui server della società affluiscono addirittura centinaia di migliaia di immagini di persone ancora più ignare del futuro che le attende di quanto, probabilmente, non lo sono i già poco consapevoli utenti che caricano le proprie immagini.

FaceApp sarà anche divertente ma è anche – o almeno potrebbe esserlo – un pericolosissimo strumento di espropriazione della nostra privacy.

Un consiglio: diamo ai nostri dati personali il valore che meritano se si vuole garantire per davvero, negli anni che verranno, il diritto alla privacy.

Dario Marchese

Fonte: L’Espresso 

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